Vistosi - scultore del vetro

Alessandra Vistosi

 

Avevo 12 o 13 anni.

Alle 3 della notte papà mi sveglia e mi dice di andare con lui a Murano. Accadeva raramente che mi coinvolgesse nelle sue cose. Ho capito a pelle che doveva essere importante.

In fornace a Murano ci sono 4 o 5 uomini che avevo visto durante i miei giri in vetreria e che aspettano istruzioni.

Ho un ricordo profondo di oscurità, di forni accesi che fanno un rumore sordo e lugubre, di concentrazione e di segni per terra che non riesco a capire.

Durante la traversata dal Lido a Murano papà mi aveva detto che dovevo stare in un angolo ferma immobile. Guai se parlavo o mi muovevo. Se non riuscivo a sopportare il caldo avrei dovuto uscire da una porticina che era dietro di me.

La scena è immobile, irreale e dalla bocca del forno la massa incandescente che sembra un sole attaccato ad un palo viene portata al centro della fornace.

Parole urlate squarciano il silenzio e improvvisamente tutto diventa concitato, febbrile quasi a voler tenere in vita qualcuno che non si vuole perdere…

Un codice fatto di sguardi e di sintonie permette ai segni per terra, alle istruzioni impartite e ai gesti di trovare l’unità emotiva giusta, ma la materia è viva e non si lascia plasmare con facilità; bisogna adeguarsi e con grande destrezza e umiltà seguire il suo corso per poi ricevere il massimo da lei.

Il tempo è poco, troppo poco e per darle la forma voluta si deve fare i conti con il respiro caldo e sempre più esile di questo debole sole.

Nasce e muore così, solo in quei pochi ma intensi palpiti, per dare una forma a quello che non esiste, ma che ferma il tempo per sempre.

E la forma è lì. Vera, limpida, perfetta.

Il caldo è soffocante ora più che mai. Ma lo sapevo e quindi non mi spavento. Uno sguardo di papà che mi dice che mi posso muovere mi fa andare verso di lui.

La tensione sta calando a poco a poco e quando mi abbraccia sento che è stremato, svuotato.

Lo accompagno nel suo studio che in quegli anni si raggiungeva facendo un breve percorso all’aria aperta e ho la sensazione di essere nuovamente al mio posto, tra le cose che conosco, con il mio papà, quello di sempre.

Lo Spazio Vistosi

Lo Spazio Vistosi

Durante la traversata dal Lido a Murano papà mi aveva detto che dovevo stare in un angolo ferma immobile. Guai se parlavo o mi muovevo. Se non riuscivo a sopportare il caldo avrei dovuto uscire da una porticina che era dietro di me.

La scena è immobile, irreale e dalla bocca del forno la massa incandescente che sembra un sole attaccato ad un palo viene portata al centro della fornace.

Parole urlate squarciano il silenzio e improvvisamente tutto diventa concitato, febbrile quasi a voler tenere in vita qualcuno che non si vuole perdere…

Un codice fatto di sguardi e di sintonie permette ai segni per terra, alle istruzioni impartite e ai gesti di trovare l’unità emotiva giusta, ma la materia è viva e non si lascia plasmare con facilità; bisogna adeguarsi e con grande destrezza e umiltà seguire il suo corso per poi ricevere il massimo da lei.

Il tempo è poco, troppo poco e per darle la forma voluta si deve fare i conti con il respiro caldo e sempre più esile di questo debole sole.

Nasce e muore così, solo in quei pochi ma intensi palpiti, per dare una forma a quello che non esiste, ma che ferma il tempo per sempre.

E la forma è lì. Vera, limpida, perfetta.

Il caldo è soffocante ora più che mai. Ma lo sapevo e quindi non mi spavento. Uno sguardo di papà che mi dice che mi posso muovere mi fa andare verso di lui.

La tensione sta calando a poco a poco e quando mi abbraccia sento che è stremato, svuotato.

Lo accompagno nel suo studio che in quegli anni si raggiungeva facendo un breve percorso all’aria aperta e ho la sensazione di essere nuovamente al mio posto, tra le cose che conosco, con il mio papà, quello di sempre.

Idea per una mostra - sculture di vetro

Enrica Berti

 

Incontro con Enrica Berti e Arianna Corbetta in previsione della visita dei bambini dell’asilo infantile “Principessa Maria Letizia” di Murano per il loro saggio di fine anno ispirato a Luciano Vistosi.

Ci guidò tra una sala e l’altra nel suo atelier con lo stesso entusiasmo che hanno i bambini. Sentivamo i suoi occhi scrutare nei nostri come per carpirne lo stupore e la meraviglia.

Non sapevamo davvero se farci inondare dalle sensazioni di luci nel vetro o dalla suadente voce che cercava quasi voler ripassare una parte, quella di narrare sé stesso ai bambini dai 25 mesi ai 6 anni che sarebbero venuti di lì a poco in quei magici luoghi…

Così ci sentivamo trascinate e lui raccontava, raccontava…

Quando i suoi passi sulla scaletta di ferro grigio chiaro che portava al soppalco smisero il loro suono ritmico e aprì la porta… ci sentimmo stordite da tanta leggiadria, luce e quiete.

Ci raccontò così che un giorno dei bruchi rimasero nella stanza. Le finestre chiuse (proprio come in quel momento) non consentivano loro alcuna via di scampo. Forse quella che continuava insistentemente a comunicarci come proprio sentore. E così i bruchi divennero farfalle e pur volando in ogni angolo non riuscivano ad uscire. E serenamente si fermarono divenendo ciò che stavamo guardando con tanto stupore: forme di vetro bianche, verde laguna, nere… immobili e catturate nell’attimo più intimo e più bello.

Era riuscito a fare qualcosa di divino.

Continuavamo ad ascoltarlo pensando all’effetto che una stanza così avrebbe fatto sui bambini. Anche lui certamente lo stava pensando.

E quasi divertito ci confessava la sua vita di inguaribile pinocchio… che quindi avrebbe cambiato la storia di quella stanza altre mille volte… chissà – ci diceva – cosa davvero racconterò ai bambini quando verranno qui. E ce lo disse con la luce negli occhi, la stessa luce che hanno i bambini quando sanno di raccontare fantasie ma fingono di non saperlo, per far felici gli adulti che li stanno ascoltando.

Grazie Maestro Vistosi. Questo Suo regalo rimarrà prezioso nei nostri cuori e nell’album di foto di ciascun bimbo di Murano.

 

Enrica Berti
Murano, 6 aprile 2010

Luciano Visconti - idea per una mostra

Luciano Visconti - idea per una mostra

Così ci sentivamo trascinate e lui raccontava, raccontava…

Quando i suoi passi sulla scaletta di ferro grigio chiaro che portava al soppalco smisero il loro suono ritmico e aprì la porta… ci sentimmo stordite da tanta leggiadria, luce e quiete.

Ci raccontò così che un giorno dei bruchi rimasero nella stanza. Le finestre chiuse (proprio come in quel momento) non consentivano loro alcuna via di scampo. Forse quella che continuava insistentemente a comunicarci come proprio sentore. E così i bruchi divennero farfalle e pur volando in ogni angolo non riuscivano ad uscire. E serenamente si fermarono divenendo ciò che stavamo guardando con tanto stupore: forme di vetro bianche, verde laguna, nere… immobili e catturate nell’attimo più intimo e più bello.

Era riuscito a fare qualcosa di divino.

Continuavamo ad ascoltarlo pensando all’effetto che una stanza così avrebbe fatto sui bambini. Anche lui certamente lo stava pensando.

E quasi divertito ci confessava la sua vita di inguaribile pinocchio… che quindi avrebbe cambiato la storia di quella stanza altre mille volte… chissà – ci diceva – cosa davvero racconterò ai bambini quando verranno qui. E ce lo disse con la luce negli occhi, la stessa luce che hanno i bambini quando sanno di raccontare fantasie ma fingono di non saperlo, per far felici gli adulti che li stanno ascoltando.

Grazie Maestro Vistosi. Questo Suo regalo rimarrà prezioso nei nostri cuori e nell’album di foto di ciascun bimbo di Murano.

 

Enrica Berti
Murano, 6 aprile 2010