Un paesaggio di vetro

Le sculture di Vistosi vanno viste tutte insieme. Insieme infatti danno vita ad un paesaggio ed è di questo paesaggio che intendo parlare.

Esso si compone di forme peculiari, morbide, allungate, fluttuanti, forme che fanno parte della realtà ma che non coincidono con essa.

È infatti il paesaggio a cui dà vita Vistosi un paesaggio trasfigurato, ovvero un paesaggio che si pone in bilico tra il reale e il sogno, tra la concretezza e l’evasione.

I greci antichi chiamavano questa configurazione tra la realtà e il sogno forma fantasma, presente ma come sul punto di svanire, quasi uno stadio intermedio tra il solido e il fluido.

Ed è tra il solido e il fluido che si pone anche il materiale che Vistosi utilizza, il vetro.

Sono quelle di Vistosi forme di un astrattismo ancestrale, quasi amniotico.

Esse alludono ad un mondo ineffabile sempre sul punto di avvolgerci. Una realtà magica quindi, che si veste di sogno per apparire trasognante. Coloro i quali avevano indagato per primi questa realtà sempre sul punto di svanire come il gatto di “Alice nel paese delle meraviglie” sono stati i romantici, più precisamente i primi romantici tedeschi di Jena.

Essi non erano degli irrazionali, anzi. Si erano infatti formati sui rivoluzionari scritti di Kant e proprio

Kant aveva loro insegnato che la percezione della realtà corrisponde di fatto con essa. Novalis, il più poetico, il più dotato tra essi, aveva compreso che proprio questa capacità di dar forma alla realtà è la caratteristica e il destino dell’uomo e che questa caratteristica definisce la sua natura più alta, ovvero quella estetica. Il programma di Novalis quindi, la sua rivoluzione estetica, avrebbe dovuto attirare nell’uomo quella capacità di dar vita a rappresentazioni e forme capaci di esprimere la sensibilità umana nelle sue capacità massime, ovvero quelle in cui si rende visibile, almeno per un attimo, in una vera e propria epifania, quell’insondabile quid trascendente che è dentro di noi.

Ciò sarebbe stato possibile solo attraverso un’operazione di trasfigurazione, cioè il momento in cui ciò che è reale diventa irreale, in cui ciò che è immanente diventa trascendente, per poi tornare ad essere forma reale, immanente e tangibile. In definitiva è il momento in cui la forma è in bilico, come se una metamorfosi fosse congelata a metà di uno stato ibrido: in uno stato per così dire sospeso. E sospese e trasfigurate sono le sculture di Vistosi; come tali, per empatia, stimolano in noi a sognare la realtà per trasfigurarla, se non altro per renderla, come voleva Baudelaire, un po’ più accettabile: per renderla migliore. Mi sembra che questo sia il messaggio che le sculture di Vistosi intendono trasmettere, un messaggio di fiducia nell’uomo, se non altro per la sua capacità rara di trasfigurare la realtà. Ma la trasfigurazione è anche una tecnica.

Scriveva ad esempio Novalis: “Nel dare al comune un senso elevato, al consueto·un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita, io li rendo romantici”. La trasfigurazione quindi non può partire dal bizzarro, dal poco noto; essa per funzionare ha bisogno di partire dal noto, anzi dal più noto e accessibile possibile, persino dal comune e dal corrivo. Ha bisogno di partire dalle teste, dal sole, dai voli degli uccelli, dalle danze, dalle onde, dai guerrieri, tutti titoli questi delle trasognanti e romantiche sculture di Vistosi, opere che come quelle romantiche di qualità, hanno la capacità di interporsi non solo tra la realtà e l’irrealtà, ma anche tra il mondo del suo autore e quello di tutti noi.

Valerio Paolo Mosco
Docente di Teoria dell’Architettura – IUAV – Venezia